Cronache di una quarantena. Day 9: a scuola, anche a distanza
“Mammina, cosa pensi riguardo alla chiusura delle scuole” e la mamma, sorridente, mentre prepara il pranzo, risponde: “Al suicidio, amore. Penso al suicidio”.
“Sono molto favorevole alla chiusura delle scuole. Ci fate sapere a che ora dobbiamo venire a riprendere i nostri figli tra due settimane?”
“Scommettiamo che se continuano a tenere chiuse le scuole il gruppo WhatsApp delle mamme trova il vaccino del Coronavirus?”
È ormai più di un mese che le scuole sono chiuse. Complice il fatto che l’inizio della crisi sia combaciata con le vacanze di carnevale, ai bambini sembrava una vacanza più lunga del previsto, quasi un regalo: mamme e papà molto più disponibili, molto più tempo per giocare e divertirsi; dall’altra parte le mamme, certe che presto tutto sarebbe tornato alla normalità, si sono rimboccate le maniche e, pensando che fosse comunque un’occasione per godersi i proprio pargoli senza dover correre e incastrare mille impegni, hanno intrattenuto, giocato, cucinato, letto ad alta voce, dipinto. Chi lo ha fatto troppo bene, giorno dopo giorno, aveva di fronte a sé bambini sempre più entusiasti e sempre più incollati: quando mai ricapita di godersi mamma e papà h24?
Poi però questa strana villeggiatura ha perso la spensieratezza della vacanza.
Piano piano – nel mio caso molto lentamente – le mamme hanno preso consapevolezza che la riapertura delle scuole non sarebbe stata vicina (si dice che forse non riapriranno proprio: ma per questo per me è ancora un colpo troppo duro da assorbire). Ogni famiglia ha trovato una propria routine; ogni componente ha trovato i propri spazi (più o meno).
E così anche la scuola è riuscita a entrare in casa. Smart working, meeting, video conferenza, call, zoom, classroom, sono parole entrate nel gergo quotidiano. La maestra carica i compiti sulla piattaforma di google e i suoi alunni scaricano, condividono. Ed ecco che la mamma si trasforma in maestra: alla mattina si svolgono i compiti assegnati giorno per giorno (parola d’ordine: autonomia, che rimane perlopiù un buon proposito per il giorno successivo) e al pomeriggio ci si collega con la maestra e la classe (per fortuna lì la presenza del genitore è vietata).
Didattica a distanza.
E pensare che la nostra scuola è proprio dietro l’angolo: da casa sono 100 passi, che fino a non molte settimane fa abbiamo sempre fatto di corsa, perché costantemente in ritardo.
Tra le bambine che quotidianamente sono entrate in quel portone c’è stata anche Liliana Segre: nata nel 1930, vive in Corso Magenta, frequenta la scuola pubblica del quartiere ed è piena di amiche. A pochi giorni dall’inizio della terza elementare, il papà le spiega che non potrà più frequentare la scuola. La bambina non sa nemmeno cosa sia l’ebraismo. E così, “per la colpa di esser nata”, la sua vita cambia improvvisamente e inspiegabilmente: isolamento, solitudine, indifferenza, silenzio entrano in maniera prepotente nella sua infanzia e il nucleo familiare diventa ogni giorno un rifugio più sicuro. Sfollata, nascosta, fuggiasca, prigioniera e infine deportata.
A 15 Liliana ha già vissuto lo sradicamento dalla casa e dagli affetti, la paura, l’isolamento, il freddo, l’orrore e la morte. Il 30 gennaio 1944, parte “per ignota destinazione”: 6 febbraio 1944 entra nel campo di concentramento di Auschwitz. È poi Liliana, una delle 22 sopravvissute di quel convoglio, tornata a Milano il 31 agosto 1945, a raccontare. Ha testimoniato per anni: oggi Liliana ha compiuto 90 anni e si è fermata, certa di aver lasciato un segno alle giovani generazioni perché la memoria dell’Olocausto resti viva.
Mentre ripenso a questa storia su cui i bambini della scuola stavano riflettendo proprio nelle settimane precedenti alla chiusura, in occasione della Giornata della Memoria, accendo il telefono e una mamma mi manda la seguente notizia: “A settembre possibile riapertura anno scolastico con didattica a distanza”.
Sbianco. Ti prego, dimmi che è una fake news!
Comentários