Tre piallatori di parquet, le schiene curve, feline, percorse da bave di luce. Un deserto di trucioli e segature. La tensione dei corpi stanchi, mossi dal duro lavoro. Parigi, il precipitare lento del pomeriggio. Una finestra.
Poi è un imbianchino giovane, poco più che ventenne, la paglietta sul capo a ripararsi dal sole di mezzogiorno.
La scala di legno aperta sulla vetrina davanti alla quale, nel lungo grembiule dei lavoranti, il giovane è intento a meditare. Chissà quali strani pensieri prendono forma in quella fissità statuaria. Chissà . Forse una passione che sta morendo. O un sogno. Alle sue spalle, senza interromperlo o parlare, un collega più anziano. Sono fermi nell’aria. Sembrano fatti di uno strano cristallo.
Lui è lì, dietro di loro. L’hanno chiamato mago, pazzo, capriccioso. Bizzarro lo è di sicuro, e profondo, come gli occhi grigi che vibreranno domani nei tormentati autoritratti.
Lui ignora ogni giudizio, e insegue, instancabile, silenzioso come il vento che in questa Parigi ormai estiva si leva talvolta all’improvviso. O come le brezze di luglio, quando s’introducono e brontolano col loro ronzio d’apocalisse.
Ha spiato i gesti dei raboteur, dei solidi piallatori di casa sua. Poi è sceso sul boulevard, a studiare i movimenti degli uomini fermi davanti all’atelier. S’è fatto leggero, è divenuto spettro, aria senza forma, per sorvolare sui giardinieri di Yerres, sui loro piedi nudi, diafani, sulla loro giovinezza provata, curva a innaffiare cespi di lattughe nell’orto, i calzoncini al ginocchio.
Ha il potere di non farsi notare. Sembra invisibile. Per questo lo definiscono Mago, illusionista. Per la capacità che ha di giungere, senza preannuncio, e di essere lì dove qualcosa si compie, qualcosa d’importante, qualcosa che ha la potenza di fermare il tempo.
Il suo volo ha la levità delle stagioni, ed è di nuovo l’autunno greve, l’ottobre grigio-viola o il novembre febbrile di un malinconico pomeriggio parigino. Uno come tanti. Lui è di nuovo lì, nel rantolare delle carrozze, e osserva senza scomporsi come lo spettatore di un teatro sul finire dell’opera.
Le coppie fuggono via sotto gli ombrelli. Il temporale grava sulla città . Qualche vettura si allontana, un uomo solo, mosso da un dolore, fugge via col capo riverso. Ancora poche gocce di cielo riverberano sul selciato consunto. È in esso che sembra annidarsi l’umore fatale del secolo.
Ed è su quella pietra che il Mago muove i suoi passi da levriero. Passi leggeri, di un velluto senza musica. I passi di un pittore di nome Gustave Caillebotte.
Luigi La Rosa, giornalista e scrittore, è docente di scrittura creativa e autore di molti romanzi. Di recente ha pubblicato L'uomo senza inverno, biografia romanzata di Gustave Caillebotte. Potete acquistarlo qui.
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