Costantinopoli, Palazzo reale, sera del 10 aprile 491
“Tutto questo è inaccettabile, Giustino! Come osi usare violenza al tuo stesso patriarca! Tu, che sei sempre stato un vero credente di Calcedonia, non me ne capacito!”
“Credo in Dio ma sono un soldato dell’impero, Venerabile Eufemio. E gli ordini dell’imperatrice sono stati di prenderti e di portarti qui. Non è violenza, è solo il mio dovere.”
È una montagna, Giustino. Il patriarca Eufemio, per quanto si alzi in punta di piedi, riesce ad arrivare a mala pena allo sterno del comandante. Gli altri soldati della guardia imperiale sono ugualmente massicci e dai loro sguardi si capisce che gli ordini di Giustino per loro valgono più dei quattro Vangeli.
“Io non accetto…”
“Non accetti cosa, Eufemio?”
Ariadne compare sulla porta. Non ha più addosso la corona e il manto imperiale, ma anche con una semplice dalmatica nessuno potrebbe mettere in dubbio che si tratti di una regina. È come se irraggiasse attorno a sé l’aura del potere, e l’intero palazzo, forse l’intera città fossero progettate per contenere la sua luce.
“Non accetti che io possa indicare il nuovo imperatore? Non mi credi capace di saper valutare bene chi è degno della porpora e di guidare l’impero?”
“Domina… - balbetta il patriarca, arrossendo - Il senato…”
“Il senato non deve andare a letto con l’imperatore. Io sì.”
Il patriarca arrossisce.
Ariadne si avvicina al viso di Eufemio, quasi lo sfiora: “Ti stupirebbe, Eufemio, quante cose una donna può sapere di un uomo giacendo con lui… io stessa di Zenone sapevo dettagli che sono sfuggiti ai più stretti fra i suoi collaboratori. E credimi, forse è un bene… ma non è questo il punto. Il punto è che la mia scelta è fatta. L’uomo più adatto al trono è Anastasio, che ti piaccia o no. Lo sposerò e sarà imperatore. Né tu né il senato potrete impedirmelo. A meno che non vogliate ricorrere a degli atti di forza. Vuoi ricorrere alla forza, contro di me e i miei uomini, Eufemio?”
Ariadne indica Giustino e i suoi, che, con un riflesso condizionato, mettono le loro mani sulle else delle spade.
Piccole gocce di sudore imperlano la fronte del patriarca: “Domina, io… per quanto io voglia compiacerti, io non posso… tutti conoscono le posizioni teologiche di Anastasio, non fa mistero di essere favorevole ai monofisiti… io non posso… non potrei… tu capisci, sarebbe un affronto ai credenti ortodossi... nessuno potrebbe garantire l’ordine in città…”
Ariadne sorride: “L’ordine in città lo garantiranno i miei uomini, Giustino te lo può assicurare. E le ronde degli Azzurri e dei Verdi, che sono con me. Manchi solo tu, patriarca. Ma in fondo io credo che fra persone civili trovare un accordo sia sempre possibile. C’è sempre un modo per rispettare la forma, no?”
“L’eresia non è una questione di forma!” Si inalbera Eufemio.
“Certo, certo. È fondamentale che ognuno affermi di sapere esattamente di che sostanza sono fatti Cristo, e Dio. È ciò che ci salva dalla disperazione quando veniamo colpiti dalle più grandi disgrazie, come la morte di un figlio, vero? - la voce di Ariadne è piena di ironia tagliente - ma in fondo, se il problema è sapere cosa creda Anastasio la faccenda può essere risolta facilmente, no? Ecco qui, una sua dichiarazione, che verrà firmata da lui e controfirmata da me, in cui assicura di essere un credente ortodosso, e che sarà ligio ai dettami di qualsiasi concilio tu voglia. Come lo sono io, del resto.”
L’imperatrice sporge al patriarca una pergamena. Eufemio la srotola, legge avidamente lo scritto. Scuote la testa.
“Dovrei accettare una promessa che so essere una bugia, detta solo per ottenere il trono?”
“E non è ogni promessa una bugia, in fondo, Patriarca? Chiunque dica che farà per certo una cosa in futuro, mente, perché nessuno di noi conosce il futuro, tranne Dio. Anastasio ti offre un impegno. Esplicito, controfirmato. E io sarò al suo fianco, pronta a mantenere ciò che abbiamo pattuito. Non troverai un candidato migliore di lui per il trono, e comunque chiunque altro non ti potrebbe offrire che quello che ti offriamo noi: una promessa. Valuta tu se ti conviene accettare la nostra, o rischiare di non ottenere nulla.”
Il patriarca cerca di reggere lo sguardo dell’imperatrice.
Ma è questione di un attimo. Abbassa gli occhi e annuisce.
Tutti gli imperi si fondano su di loro, i silenziosi uomini che nelle retrovie gestiscono le crisi più complicate. Tocca infatti all’eunuco Urbicio far fronte al senato e spingere per l’elezione di Anastasio, esercitando la sua furbizia e anche una buona dosa di ironia. Ci riuscirà?
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Galatea Vaglio: Insegnante, collabora con L'Espresso e cura il blog Il Nuovo Mondo di Galatea. Il suo ultimo libro è Teodora. La figlia del Circo, potete acquistarlo qui.
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