Carola Benedetto e Luciana Ciliento raccontano il lavoro fatto con i loro studenti durante il lockdown
Al primo lockdown, noi eravamo già in quarantena, di ritorno da un piccolo tour nelle librerie di Barcellona. Un viaggio che, al giungere delle notizie da casa, si era fatto via via più pensieroso, fino a convincerci che la cosa migliore per le nostre famiglie fosse il nostro autoisolamento.
Quando l’Italia intera si fermò del tutto, ci fu chiaro che non avremmo potuto incontrare i tanti studenti che ci aspettavano. Puntualmente gli appuntamenti, dalla Sicilia alla Lombardia, dall’Abruzzo al Piemonte, scivolarono via dal calendario. Solo un piccolo segno di tutto ciò che crollava attorno.
In un limbo di incredulità, restavamo spesso in silenzio: davanti ai nostri occhi, immagini che mai avremmo voluto vedere, e numeri, che rimbalzavano minacciosi fra i pensieri, giorno e notte. Un grosso lutto, una macchia nera senza contorno.
Poi dietro ai giorni di paura e di dolore, altri più chiari iniziarono ad affacciarsi. Un filo di speranza a rischiarare le sere ancora lunghe, nonostante non si potesse uscire, neanche per andare in un campo, sotto un albero a guardare il cielo, a sperare di diventare un passero, per volare via.
Un mattino, Antonella e Cristina delle librerie Ubik di Rivoli e di Venaria - e che meraviglia i librai. Non hanno smesso un attimo di alimentare la fiammella della condivisione e del racconto! - ci proposero di riprendere il filo che era stato spezzato e di incontrare via Skype le classi che avrebbero dovuto accoglierci in presenza. Con i loro occhi grandi e la loro voracità di vita, seppur distanti e un po’ impauriti, i ragazzi mostrarono tenacia e volontà di ascoltare storie e di raccontarne, di parlare del presente del Pianeta e di come renderlo più sicuro per il futuro.
Fu per noi una vera boccata di ossigeno. Quel raggio di sole che di botto squarcia le nuvole.
Eccolo lì, il nostro futuro, bello vivo e pimpante. Con tasto, perché con mano restava tassativamente vietato, toccammo quanto in realtà fossimo tutti vicini, tutti uniti.
Quanto ci stessimo abbracciando. Una sola, gigantesca, famiglia fatta di uomini e di donne che, seppure sparsi nel Pianeta, affrontavano la medesima, durissima, prova. E allora parlare di protezione dei gorilla, di rispetto nella produzione dei nostri jeans, di arrestare il riscaldamento globale per il bene della Terra assumeva un senso nuovo. Urgente. Ancora più necessario, se possibile. Perché a nervi scoperti ormai, era palese a tutti che da una nostra azione, anche minuscola quanto un virus, dipendeva la salvezza di tutti gli altri.
Tanto sono state robuste, tangibili, quelle riflessioni, che molti studenti della terza B della scuola M. Hack di Villarbasse hanno scelto di diventare a loro volta la voce di altre storie in grado di fare, e di ispirare, la differenza per il bene comune.
Proprio per rendere omaggio al lavoro dei ragazzi, adesso che la scuola è finalmente ripartita, abbiamo pensato di pubblicare quelle storie. Perché la vita vuole andare avanti, vuole riprendersi la strada, come sempre. E noi confidiamo che, come accade in natura, ciò che è stato covato nel silenzio dell’inverno rischiarerà i nuovi passi di questa umanità, anche quelli più incerti delle nuove risalite.
Iniziamo da Martina Buscema, che ci parla di Rosa Parks e dell’importanza di dire no.
No, io non mi alzo. Rosa Parks di Martina Buscema, (classe 3B, scuola media M. Hack, Villarbasse)
Rosa Parks era una donna nera che nacque il 4 febbraio 1913 in Alabama, negli Stati Uniti. In quel periodo la città di Montgomery, dove lei abitava, era segregata: ciò voleva dire neri e bianchi non si frequentavano, pregavano e lavorano in luoghi diversi, andavano in scuole differenti e sui mezzi pubblici dovevano dividersi in modo da lasciare i bianchi davanti. E ribellarsi contro quelle regole voleva dire essere messi in prigione.
In quel periodo Rosa aveva quarantadue anni e lavorava come sarta, e dopo una giornata lavorativa prese il pullman per tornare a casa. Sfortunatamente per lei, la considerazione che si aveva per i neri in quel periodo era molto bassa, così le venne ordinato di alzarsi per lasciare il suo posto a un bianco, essendo tutti gli altri posti occupati.
Ma lei rifiutò, e quel gesto divenne la dimostrazione che si poteva andare contro le ingiustizie. Per quel gesto lei dovette passare la notte in prigione per condotta impropria e venne licenziata. Il suo caso arrivò fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che decretò incostituzionale la segregazione sui pullman pubblici dell’Alabama.
La notte dell’arresto di Rosa Parks, cinquanta leader della comunità afroamericana, guidati da Martin Luter King, si riunirono per decidere le azioni da intraprendere, mentre in tutto il Paese erano scoppiate rivolte. Il giorno dopo iniziò il boicottaggio dei mezzi pubblici, protesta che durò 381 giorni, in cui i pullman non si mossero fino a quando non venne rimossa la legge che legalizzava la segregazione.
Il suo esempio ha spinto molti afroamericani a farsi avanti per rivendicare i propri diritti ed è infatti servito a rimuovere una legge che permetteva la segregazione, cosa che non avrebbe mai dovuto essere accettata.
Carola Benedetto è indologa, autrice e regista. Luciana Ciliento è traduttrice e interprete. Insieme hanno scritto Storie per ragazze e ragazzi che vogliono salvare il mondo. Potete acquistarlo qui.
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